Skip to main content

Chiamiamola con il suo nome: indifferenza

“Tempo fa vidi un documentario nel quale venivano intervistati cittadini tedeschi che asserivano che durante l’olocausto loro non si fossero accorti di quello che realmente stesse accadendo: queste testimonianze mi hanno molto colpito in quanto mi risultò davvero difficile pensare che una tragedia così epocale si sia compiuta senza che in tanti ne fossero consapevoli. Mi parve e ancora mi pare impossibile ma ho creduto alla buona fede di quelle persone e non so se sia stato per convinzione o semplicemente preferivo farlo.
Non ho vissuto la seconda guerra mondiale così come non ho vissuto le lotte dei neri in America per rivendicare i loro diritti: sono però certo che non sarei rimasto indifferente. Ho vissuto la guerra in Jugoslavia e non ho nessuna difficoltà ad ammettere che non ho dedicato a quella tragedia le stesse energie che sto spendendo in difesa del dramma del popolo siriano: forse ero giovane e sciocco o forse perchè non ho partecipato attivamente alla tragedia di quel popolo e non mi sono recato di persona sul posto. Non so davvero spiegarmene il motivo. La tragedia siriana invece mi ha preso da subito come un colpo forte alla bocca dello stomaco: prima in Italia leggendo le frammentarie notizie di questi giovani eroi che scendevano in piazza armati di fiori per cercare di cacciare una dittatura crudele e sanguinaria che regnava da anni indisturbata grazie ad un numero impressionante di servizi segreti che creavano nella popolazione un clima di terrore puro. Poi è arrivata l’esperienza della prima visita in un campo profughi dove con un gruppo di amici siamo arrivati carichi di beni di prima necessità da donare a chi era costretto a vivere in quelle condizioni. Pensavo che vivendo così direttamente una tragedia fosse impossibile girarsi poi dall’altra parte convinto che lo stesso effetto che quell’esperienza aveva fatto scattare dentro di me potesse essere trasmessa con immagini, testimonianze e racconti al mondo intero.
In questi anni ho cercato di fare quanto possibile per dare voce e aiuto a quel popolo: insieme ad altri amici abbiamo fondato una associazione che ha spedito container di aiuti, abbiamo dato vita ad una sala parto che con il tempo è cresciuta, stiamo sostenendo un centro per bambini con problematiche particolari. Abbiamo dato vita ad una scuola in un campo profughi per un anno scolastico e abbiamo voluto che ai bambini fosse garantita una istruzione anche nel periodo estivo avendo visto di persona come vivono i bambini all’interno di un campo.
Ho cercato di dare voce al popolo siriano raccontando il loro dramma, la loro meravigliosa dignità e anche la loro paura di raccontare al mondo cosa è successo, cosa sta succedendo nel loro paese. Sì, proprio così; non si può parlare di Siria senza tenere conto di questo aspetto: un popolo abituato a vivere nel terrore di essere arrestato e torturato solo per avere espresso un idea rimane terrorizzato e anche se lontano dalla propria terra non si sente al sicuro e non parla liberamente. Per non parlare di coloro che sono riusciti ad arrivare in Europa ma hanno comunque paura di raccontare la realtà perché temono per l’incolumità dei loro amici o parenti che in Siria sono rimasti. Inizialmente questa paura mi faceva arrabbiare anzi “incazzare” è il termine giusto ma alla fine sono riuscito se non a giustificarla a comprenderla: se cresci e vivi in un paese governato da servizi segreti feroci dove il libero pensiero è punito severamente e dove anche in famiglia non è permesso parlare contro il regime probabilmente rimani segnato per sempre e persone come me che non hanno vissuto questa sorta di tortura psicologica non possono senz’altro capire. Ho sempre cercato di indurre gli amici siriani a testimoniare gli abusi e le violenze subite perché credevo, anzi, mi illudevo, che la società civile italiana e non solo davanti a testimonianze dirette reagisse e si mobilitasse. Dico illudevo perché ho scoperto che per quanto si possa testimoniare, portare immagini, raccontare questa tragedia umanitaria lascia indifferenti i più: anche coloro che fino a pochi anni fa si schieravano contro guerre e ingiustizie in ogni parte del mondo. Coloro che facevano del rispetto dei diritti umani la loro bandiera si sono ammutoliti e così i partiti che in qualche modo hanno sempre sostenuto questi movimenti e di conseguenza questi ideali. In questi giorni si continua a parlare di emergenza migranti e come spesso capita nel nostro paese ognuno per un attimo di notorietà o per calcolo politico si sente in dovere di dire la sua. Siamo così costretti a leggere e ascoltare persone che non sanno neppure di cosa si stia parlando pontificare come se avessero il dono del sapere in esclusiva mondiale. Nessun libero pensatore che invece commenti la visita della Mogherini in Iran che si è spesa a parlare di accordi economici senza spendere una dico una parola sul ruolo dell’Iran nel conflitto siriano o sui diritti umani che in quel paese sono calpestati da sempre nel silenzio mondiale. Nessun risalto è stato dato alle parole con cui Carla Del Ponte ha rassegnato le dimissioni dalla commissione di inchiesta Onu sulla Siria.
Con grande tristezza mi chiedo cosa posso fare io davvero se rimangono inascoltate parole di questo spessore?
Una cosa però posso e voglio dire: un domani, quando la verità sulla Siria uscirà in tutta la sua drammaticità non fatevi sentire da me dicendo “ah non avevo idea”. Voi che mi siete amici nella vita e su Facebook potete non accettare questa mia battaglia, potete non sostenere la associazione che presiedo perché è giusto che ognuno sia libero di gestire sia i suoi denari che le proprie idee ma, per carità, non dite mai che non avevate idea di quanto sta accadendo. Ai tempi dell’olocausto non c’era internet, non si vedevano video né si potevano avere testimonianze dirette ma al giorno d’oggi le cose sono molto diverse per cui l’ignoranza credo davvero non sia ammessa né tantomeno tollerata, chiamiamola con il suo nome esatto INDIFFERENZA.”

Enrico Vandini
Presidente We Are Onlus

We Are OdV