Skip to main content

Elie Wiesel, scrittore rumeno premio Nobel per la pace nel 1986, ebreo, sopravvissuto all’olocausto, descrisse l’indifferenza come il male peggiore che l’essere umano potesse vivere nel corso della sua esistenza:

«Sono molte le atrocità nel mondo e moltissimi i pericoli. Il male peggiore è l’indifferenza. Il contrario dell’amore non è l’odio, ma l’indifferenza; il contrario della vita non è la morte, ma l’indifferenza; il contrario dell’intelligenza non è la stupidità, ma l’indifferenza. È contro di essa che bisogna combattere con tutte le proprie forze. E per farlo un’arma esiste: l’educazione. Bisogna praticarla, diffonderla, condividerla, esercitarla sempre e dovunque. Non arrendersi mai».

Per contrastare l’indifferenza occorre provare sviluppare stimolare l ’empatia che letteralmente significa “sentire il dolore altrui dentro di sé”.
A Gustave M. Gilbert, psicologo newyorkese, che durante il processo di Norimberga assisteva i criminali nazisti, gli chiesero se a contatto con quegli uomini che avevano freddamente e lucidamente torturato e sterminato milioni di persone, si fosse fatto un’idea di cosa fosse il male assoluto, la sua risposta fu pressappoco questa: “Credo che la natura del male assoluto sia costituita dalla mancanza di empatia”.

Chi fa del male non è capace di “sentire” il dolore dell’altra persona. Come dal titolo del suo celeberrimo saggio “La banalità del male” di Hannah Arendt – che nel ‘61 seguì da inviata del New Yorker il processo a Gerusalemme al primo artefice della Shoah, Adolf Eichmann – scrive che il Male è più spesso una questione di banalità: Eichmann era un uomo mediocre, senza particolari aspirazioni, privo di qualsiasi spessore intellettuale o culturale, che nelle promesse di riscossa del nazismo vide un’occasione di realizzazione personale.

Esiste un meccanismo nella nostra mente che determina la capacità di specchiarci, di identificarci nell’altro che non siamo noi? E questo meccanismo, se esiste, è già presente nel nostro codice genetico, o è un valore che acquisiamo attraverso la cultura, l’educazione, la religione? Quindi è un meccanismo innato oppure appreso?

La scoperta dei neuroni specchio ha gettato una luce nuova e del tutto inattesa su questa domanda. I neuroni specchio sono cellule del nostro cervello che si attivano selettivamente, diciamo si “accendono” sia quando compiamo un’azione, sia quando la osserviamo mentre è compiuta da altri. Vi è nel nazismo una sostanziale caratteristica di disumanizzazione della diversità: la macchina di morte nazista aveva funzionato bene proprio perché la propaganda aveva reso non umani gli ebrei mettendoli in una categoria diversa da quella degli esseri umani per cui ucciderli non era più considerato omicidio.

Per analizzare la mancanza di empatia non necessariamente si deve parlare di carnefici estremi, in quanto esseri crudeli e violenti, ma si possono analizzare i comportamenti di persone comuni che quasi pigramente decidono più o meno consapevolmente di non fa del bene, di non aiutare, perchè distratte e noncuranti per mancanza di sensibilità e compassione.
La compassione: un altro aspetto della relazione con l’altro che ci fa condividere una sofferenza, una paura, un dolore. La prossimità la vicinanza con chi soffre fanno riacquistare la dignità di essere umano a chi altrimenti verrebbe semplicemente racchiuso in una categoria: lo straniero, il profugo, il rifugiato, il disoccupato, lo zingaro etc. categoria che lo allontana.

Un conto è vedere un documentario che parla di chi soffre in Africa un conto è incontrare qualcuno per strada che muore di fame o ha freddo! Imparare a conoscere chi ci è accanto forse ci farebbe avere meno paura di chi non è come noi! Per cui non solo rispetto per gli altri ma proprio amore nell’accezione più completa del termine.

RAFFAELLA PIAZZI

We Are OdV